Risolta una controversia annosa
sulla corteccia cerebrale
GIOVANNI ROSSI
NOTE E NOTIZIE - Anno XVII – 03 ottobre
2020.
Testi
pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di
Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a
notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la
sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici
selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori
riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.
[Tipologia del testo: RECENSIONE]
Una controversia, alimentata da
risultati non univocamente interpretabili, va avanti da molti anni nel campo
della ricerca sulla corteccia cerebrale dei lobi frontali; si tratta di una
questione della massima importanza perché riguarda l’omologia fra regioni del
cervello umano implicate nei principali e più gravi disturbi psichiatrici e le
regioni cerebrali murine considerate equivalenti nella maggior parte degli
studi preclinici. Ormai è nozione consolidata la partecipazione della corteccia
frontale mediale (MFC, medial frontal cortex) alla fisiopatologia dei
più gravi disturbi psicopatologici, pertanto stabilire se le MFC di primati e
roditori condividano un piano sostanzialmente identico di organizzazione
funzionale – come ritenuto da molti ricercatori – e se questa regione cerebrale
dei roditori possa ritenersi funzionalmente analoga alla corteccia prefrontale
laterale dei primati (LPFC, left prefrontal cortex) – cosa contestata
da molti fra neurobiologi e psichiatri – è una questione della massima
importanza.
Stabilire l’estensione e i limiti di
questa omologia fra mammiferi può avere conseguenze sia per la ricerca di base sulle
basi neuroniche di funzioni e disfunzioni cerebrali, sia per la ricerca
finalizzata a trovare strategie terapeutiche che realmente agiscano sulle
stesse unità funzionali e non abbiano solo in comune il bersaglio molecolare
dei recettori dei neurotrasmettitori, la cui complessa distribuzione ed
espressione segue criteri diversi da quelli della divisione dei compiti nei
circuiti che mediano le funzioni psichiche.
La questione è stata affrontata da
un lavoro sperimentale condotto dal team canadese di David Schaeffer,
con la supervisione di Robert Desimone del MIT, realizzando un confronto
analitico fra roditori, primati non umani (marmoset) e membri della
nostra specie, delle connessioni della MFC in studi di connettività funzionale
dell’intero encefalo. I risultati dimostrano, è vero, una significativa
somiglianza intrinseca nell’organizzazione funzionale della MFC nelle tre
diverse specie, ma evidenziano anche chiare differenze fra le regioni corticali
di roditori e primati nella connettività funzionale con tutte le altre
formazioni cerebrali.
Lo studio ha soprattutto definito
che la connettività funzionale smentisce l’equivalenza fra MFC dei topi e LFC
dei primati, contrariamente a quanto attualmente si assume come “nozione
operativa” nella ricerca; infatti, la corteccia frontale laterale sinistra dei
primati presenta connessioni inter-area proprie e del tutto differenti da quelle
della regione mediale dei roditori.
(David J. Schaeffer et
al., divergence of rodent and primate medial frontal cortex functional
connectivity. Proceedings of the National Academy of Sciences USA –117 (35): 21681-21689, Sept. 2020).
La provenienza degli autori è la
seguente: Centre for Functional and Metabolic Mapping, Robarts Research
Institute, University of Western Ontario, London, Ontario (Canada); Department
of Physiology and Pharmacology, University of Western Ontario, London, Ontario
(Canada).
[Edited by Robert Desimone, Massachusetts Institute of Technology (MIT),
Cambridge, Massachusetts, USA].
L’importanza di uno studio che accerti la reale equivalenza fra particolari
regioni corticali umane e le loro omologhe in altre specie animali, si evince dai
criteri in base ai quali correntemente si definisce la parte del nostro cervello
più importante per l’esecutività cognitiva, ossia la corteccia frontale,
detta comunemente prefrontale: la parte del pallio o manto del
cervello che riceve proiezioni dal nucleo mediodorsale del talamo[1].
La definizione, che considera espressione di un valore funzionale la relazione
con un preciso nucleo talamico, è applicabile al cervello di tutti i
mammiferi e, di fatto, costituisce un criterio generale e unificante in anatomia
comparata. L’implicita relazione fra morfologia e fisiologia non è però
realmente provata con certezza, e non esistono studi per tutte le specie di
mammiferi; inoltre, non si conoscono con precisione i ruoli neurofunzionali del
nucleo mediodorsale, e la corteccia prefrontale è densamente connessa con molte
altre strutture che svolgono attività di primaria importanza nell’economia
cerebrale. Tuttavia, tale definizione è comunemente accettata anche perché si
basa su un fondamentale principio neurofisiologico: la fisiologia di una
regione corticale può essere studiata efficacemente e compresa solo nel contesto
delle sue connessioni anatomiche con altre strutture[2].
L’evoluzione del cervello dei vertebrati è straordinariamente
affascinante e, anche se la sua interpretazione si è rivelata più difficile di
quanto ritenuto in passato[3], il suo studio continua a
fornire importanti suggerimenti per la comprensione dei rapporti fra morfologia
e funzione. La neocorteccia dei mammiferi è emersa e si è sviluppata tra
due antiche strutture che costituivano la maggior parte del pallium dei
vertebrati più primitivi: l’ippocampo e il lobo piriforme. Questo
processo è stato caratterizzato come “neocorticalizzazione” del cervello, e rappresenta
con il suo livello di realizzazione il grado di evoluzione di ciascuna specie di
mammiferi, esprimendosi al massimo grado nei primati, con la nota espansione corticale
umana, che costituisce l’evento evolutivo più rapido che si conosca in biologia.
La stretta relazione morfologica tra corteccia frontale e nucleo
mediodorsale del talamo è nota dalla fine del secolo diciannovesimo, quando fu descritta
da Monakow, e nel corso del Novecento una notevole mole di studi ha evidenziato
significativi elementi a sostegno di un’evoluzione parallela delle due
strutture, ma col procedere della ricerca sono emerse asincronie di sviluppo
fra le due formazioni e molte altre discrepanze. Tuttavia, per quanto impreciso
possa essere lo sviluppo evolutivo parallelo della corteccia frontale e del
nucleo mediodorsale del talamo, e per quanto incerto sia ancora oggi il ruolo
fisiologico di questo rapporto anatomico di connessione reciproca privilegiata,
la definizione della corteccia prefrontale quale regione corticale associata al
nucleo mediodorsale del talamo si è rivelata molto utile. Ad esempio, su questa
base è possibile identificare e delimitare l’area frontale nel cervello poco
differenziato dei marsupiali e, più in generale, questo criterio si è rivelato
molto più affidabile dei criteri basati sulla citoarchitettonica, sulla
topologia e topografia.
Gli studi più recenti hanno compiuto passi in avanti decisivi, sia mediante
la ricostruzione fine e molto più dettagliata che in passato delle connessioni
dei singoli nuclei talamici con la corteccia, sia ponendo in rapporto la
connettività funzionale con l’anatomia. I numerosi lavori sperimentali dedicati
alla connettomica hanno consentito di sviluppare mappe dettagliate delle
connessioni dell’encefalo intero di varie specie animali. Su questa base, la
specifica indagine condotta dagli autori dello studio qui recensito ha potuto
analizzare in dettaglio connessioni caratteristiche ed esemplari del cervello di
primati e confrontarle con quelle tipiche del cervello di roditori.
Come si è ricordato prima, con la partecipazione decisiva della corteccia
frontale ai processi alla base della sintomatologia dei principali disturbi
psichiatrici, riuscire a confermare o confutare una reale equivalenza
funzionale fra sistemi neuronici in base all’omologia anatomica e funzionale
delle connessioni avrebbe un rilievo notevole per la translational
neuroscience. In proposito, si ricorda che l’ipotesi dell’omologia
funzionale fra roditori e primati fu dedotta principalmente dalla citoarchitettonica
della corteccia frontale mediale che è sostanzialmente conservata, con
analogie di connessioni dei neuroni principali degli strati nel corso dell’evoluzione,
dal topo all’uomo.
Prima di sintetizzare i contenuti dello studio recensito, ricordiamo che
un filone di studi di neurofisiologia della corteccia cerebrale umana, che si
rifà prevalentemente alla concezione neuropsicologica, considera le due regioni
laterale e mediale della corteccia frontale come funzionalmente
distinte, per ruoli complementari o antitetici. Alla base di questa visione,
che in ogni caso a noi appare come una semplificazione eccessiva della realtà
funzionale che si deduce dal complesso delle conoscenze sulla neocorteccia, vi
sono dati recenti che integrano quelli della neurofisiologia classica,
prevalentemente dedotti dalla clinica neurologica delle sindromi prefrontali:
laterale, orbitale e mediale.
Nella sindrome laterale un disturbo dell’attenzione caratterizzato
da incapacità o difficoltà a focalizzare la mente su un particolare elemento
sensoriale o interiore sembra essere alla base del deficit di working memory,
continuità di concentrazione e pianificazione che caratterizzano la sindrome
disesecutiva di pazienti non solo spesso incapaci di iniziare le azioni, ma
anche di condurre alla finalizzazione gli atti già avviati. Spesso si associano
disturbi esecutivi del linguaggio.
Nella sindrome mediale è dominante l’apatia associata ad
ipocinesia o acinesia fino al mutismo acinetico nelle lesioni bilaterali; l’interessamento
della parte cingolata anteriore può causare cataplessia.
La dicotomia laterale-frontale è ritenuta alla base dell’elaborazione
specializzata in vari processi cognitivi.
David Schaeffer e colleghi hanno adoperato la metodica della risonanza
magnetica funzionale (fMRI, functional magnetic resonance imaging) UHF (ultra
high field) per studiare la connettività funzionale della corteccia
frontale, in particolare della MFC, di ratto, marmoset[4] e uomo. Lo studio è stato così sviluppato:
1) i ricercatori
hanno applicato il criterio del clustering gerarchico per definire
intrinsecamente i confini funzionali della MFC nelle tre diverse specie;
2) il secondo
passo è consistito nella realizzazione di mappe delle configurazioni
caratteristiche e distintive delle connessioni di queste regioni (functional
connectivity fingerprints, FCF) con numerose altre aree cerebrali.
Poiché non esiste
una corrispondenza citoarchitettonica costante e definita fra le regioni laterali
della corteccia frontale (LFC) dei ratti e dei primati si è impiegata la
strategia dell’impronta digitale delle connessioni o FCF, che ha consentito
di comparare la struttura delle connessioni funzionali della MFC di ratto a
quella delle connessioni della LFC del marmoset, considerata nei modelli di
ricerca preclinica un analogo neurofisiologico.
I risultati
mostrano una rilevante similarità nell’organizzazione funzionale intrinseca
della MFC nelle tre specie, ma chiare differenze di connettività funzionale fra
MFC di roditori e primati nello studio sull’intero encefalo. I pattern
di connettività del ratto presentavano una maggiore somiglianza con le regioni premotorie
del marmoset, invece che con le regioni frontali dorso-laterali (LFC); a
differenza di quanto ci si poteva attendere seguendo la tesi dell’equivalenza della
mediale del topo con la laterale umana attualmente dominante nella
sperimentazione.
Sulla base degli
esiti di queste osservazioni sperimentali, si conferma il valore e l’utilità
dell’impiego negli studi preclinici del marmoset e non del topo come modello
animale di disfunzioni della MFC umana, e si evidenzia una netta divergenza di
connettività funzionale tra ratti e primati per LFC e MFC.
L’autore della nota ringrazia la
dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invita alla lettura delle recensioni di studi di argomento connesso che appaiono nella sezione
“NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).
Giovanni Rossi
BM&L-03 ottobre 2020
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e culturale non-profit.
[1] Cfr. Joaquin M. Fuster, The
Prefrontal Cortex, 5th ed., Academic Press, Elsevier, 2015; la
definizione era già stata proposta in precedenza alle pp. 1-2 della quarta edizione
del 2008. Tradizionalmente in anatomia umana i nuclei talamici principali sono
ripartiti in anteriori, mediali e laterali con nuclei come
il ventro-postero-laterale, stazione della via
spino-bulbo-talamo-corticale del lemnisco mediale che veicola la sensibilità
tattile epicritica e propriocettiva cosciente e il ventro-postero-mediale
della via quinto-talamica o lemnisco trigeminale. Sono meno considerati i
nuclei intralaminari, il reticolare e i nuclei della linea mediana.
[2] L’affermazione compare in Joaquin
M. Fuster, op cit. (v.), ripresa da Creutzfeldt (1977).
[3] Si supponeva schematicamente che
il nostro encefalo fosse il risultato della sovrapposizione evolutiva di tre
cervelli, corrispondenti alle strutture archeo-encefaliche, paleo-encefaliche e
neo-encefaliche, con una sostanziale analogia dell’archiencefalo col cervello
dei rettili. La realtà è risultata molto più complessa e problematica.
[4] Nome comune usato negli USA per le
piccole scimmie platirrine del Nuovo Mondo del genere delle Callitricidae,
che conta quattro generi.